Il senso di colpa è un’emozione molto potente, in grado di paralizzare nelle scelte spesso al punto da impedire il raggiungimento degli obiettivi e dei desideri a cui aneliamo di più.
“Se esprimo ciò che sono davvero, se manifesto apertamente le mie esigenze, se dico di no a una richiesta che mi viene fatta o tradisco le aspettative che altri hanno verso di me, provocherò dispiacere e sofferenza a qualcuno. Questo è un peso insopportabile. Meglio evitare…”
Questo è, a grandi linee, il copione che segue il senso di colpa.
Perché l’essere umano soffre di senso di colpa? E perché è così diffuso e paralizzante?
Il senso di colpa è un’emozione cardine per il modello culturale occidentale.
Molti studi antropologici definiscono l’Occidente come “Società della colpa”, ossia un sistema di controllo sociale in cui il senso di colpa viene utilizzato per scoraggiare comportamenti ritenuti impropri e premiare quelli ritenuti virtuosi.
Si tratta di una condanna interiore che le persone sentono e che si fonda sulla paura del giudizio. La paura di essere giudicati è, in qualche modo, un incentivo a comportarsi secondo principi ispirati ad una certo tipo di etica.
In questo modo, la società occidentale crea un meccanismo di controllo e regolamentazione tra i propri membri.
L’APPARTENENZA AL GRUPPO
Questa etica a cui dovremmo sottostare per non sentirci in colpa non è affatto uguale per tutti ma dipende dai dettami del proprio gruppo di appartenenza: la famiglia d’origine, l’albero genealogico e, più in generale, la società e le strutture sociali che sono al suo interno.
Dal punto di vista antropologico, possiamo dire che l’essere umano è “biologicamente carente” e la sua mente ha una natura sociale: affidato alle sue sole capacità biologiche non potrebbe sopravvivere.
Un bambino per crescere ha bisogno delle cure e degli stimoli di una famiglia altrimenti non sarebbe in grado di sopravvivere. La sua sopravvivenza fisica richiede fin da subito l’intervento della “cultura”: in primis, l’organizzazione familiare ma anche il gruppo sociale di riferimento.
La sua stessa identità sociale dipende dall’interazione con l’ambiente in cui nasce e cresce, così come le sue emozioni, i suoi pensieri e le sue idee.
La necessità di appartenere è quindi di vitale importanza per l’essere umano al punto da generare una fortissima paura dell’esclusione.
In pratica, il nostro inconscio registra un’informazione che suona più o meno così: “Per sopravvivere devo appartenere, se sono fuori dal gruppo rischio di morire”. Questo è un principio psicobiologico, che guida l’individuo dal momento della nascita e per tutta l’esistenza.
LA LEALTA’ VERSO IL GRUPPO
Quindi, per sopravvivere devo appartenere al mio gruppo, in primo luogo alla famiglia e all’albero genealogico da cui provengo, che mi nutrirà, mi proteggerà, mi darà possibilità di crescere e di imparare a essere un membro della società in cui vivo.
E io cosa devo dare in cambio di questo immenso dono?
Devo essere leale al mio gruppo di appartenenza, ossia verso i “dettami” della mia famiglia, dell’albero genealogico e del gruppo sociale da cui provengo. Questa è, di fatto, l’unica etica secondo la quale mi devo comportare per evitare il giudizio e non sentirmi in colpa.
Non si tratta di un fatto oggettivo, dichiarato, socialmente riconosciuto e regolamentato come una legge scritta. L’etica dell’albero genealogico appartiene alla sfera intima e nascosta della psiche e dell’inconscio familiare: sono regole non dette, frutto del linguaggio non verbale. Di fatto, qualcosa che tutti sanno ma che nessuno dice espressamente.
Essere leali verso il proprio albero genealogico, significa dire “sì” alle aspettative che la famiglia ha su di me, quindi somigliare, ripetere la storia dei miei antenati.
Io appartengo se “somiglio”, se la mia identità fisica e sociale presenta dei tratti simili, quindi se replico azioni, pensieri, emozioni, fatti, sintomi dei membri del mio albero genealogico.
Ogni famiglia ha la propria etica, uno specifico codice che richiede una specifica lealtà. Quindi, ci sono infiniti modi di essere leali: dalla scelta della professione, del tipo di istruzione, della fede religiosa, del partner, del luogo in cui vivere, degli ideali per cui lottare…
Tutta la sfera dell’esistenza umana è condizionata da questa dicotomia lealtà VS “non lealtà” al gruppo.
IL SENSO DI COLPA E’ L’ALTRA FACCIA DELL’APPARTENENZA
Cosa succede se non sono leale? Mi sento terribilmente in colpa.
Facciamo un esempio:
“Desidero fare il ballerino ma faccio parte di una famiglia di commercianti che mi ha da sempre educato a “essere commerciante”, perché potessi ereditare e portare avanti l’attività familiare. Per loro “fare l’artista” non è una professione ma una cosa di poco conto, frivola, senza nessuna prospettiva economica concreta”.
In un caso di questo tipo potrebbe essere complesso intraprendere la professione di ballerino, perché l’informazione che si andrà a registrare nel profondo della coscienza sarà: “se faccio il ballerino sarò escluso dalla mia famiglia”. Questa esclusione, secondo il principio di appartenenza, equivale simbolicamente alla morte e quindi alla mancanza di un qualsiasi futuro possibile.
Molto probabilmente qualunque iniziativa l’aspirante ballerino intraprenderà a favore del suo intento lo farà sentire terribilmente in colpa. Potrebbe trovarsi di fronte ad un bivio:
“Che faccio? “
Essere leale significa rinunciare.
“Non sono in grado di affrontare il peso di questo senso di colpa e quindi preferisco intraprendere il percorso consigliato dalla mia famiglia, pagando il prezzo dell’insoddisfazione e della mia mancata autorealizzazione”
“Tradire” la lealtà familiare significa fare i conti con il senso di colpa.
“Scelgo di fare il ballerino comunque, contro tutto e tutti, a qualsiasi costo anche quello dell’ immenso senso di colpa che sento”
La scelta sarà in ogni caso molto combattuta e sofferta.
Da questa prospettiva, il senso di colpa è il prezzo della “non lealtà” al mio gruppo di appartenenza.
Una faccia dell’appartenenza è la possibilità di sopravvivenza, nutrimento, protezione e creazione di legami affettivi e relazionali fondamentali; l’altra faccia è il senso di colpa.
Siamo tutti immersi in questo processo che, per quanto difficile da sostenere, è un’importante occasione di crescita e fa parte delle prove che l’essere umano si trova ad affrontare per portare a compimento i suoi intenti e talenti più autentici.
Tuttavia, per quanto sia difficile gestire questo processo, c’è sempre una strada per rispettare se stessi e i propri desideri senza ledere gli altri e mantenendo relazioni sane.
Si tratta di capire da dove proviene il senso di colpa, quale sia la sua radice e a quale “lealtà” stiamo rispondendo. Portare alla luce ciò che è inconsapevole o inconscio consente di comprendere il problema e trasformarlo.
Ci sono tanti strumenti per attivare questo processo, le Costellazioni Familiari sono uno di questi; tuttavia, la cosa veramente fondamentale è la volontà di esplorare il proprio mondo interiore per risolvere il problema e poter finalmente manifestare la natura e i talenti più autentici che ognuno di noi porta dentro di sé.
RIFERIMENTI
Benedict R. (2010), Modelli di cultura, Laterza, Bari
Geertz C. (1998), Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna
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